Mostre Archives - Pagina 15 di 23 - Fondazione Giorgio Cini

Disegni veronesi del Cinquecento

La Mostra Disegni veronesi del Cinquecento, curata da Terence Mullaly, con la grande competenza che gli è riconosciuta in tale campo, è iniziativa della Fondazione Giorgio Cini e del Museo Civico di Verona.

È la prima, a mia conoscenza, rivolta alla ricerca – a me tanto cara – oltre che meritoria, dotta e convincente, che ci offre un panorama acuto e preciso del disegno veronese di questo secolo; ed è la prima di una serie di Mostre dedicate allo studio e al recupero del disegno degli artisti veneti di Terraferma, in un programma, abbastanza vasto, svolto in collaborazione e con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Dal Veronese, che sovrasta naturalmente con il suo genio e con la sua solare raffinatezza, a Jacopo Ligozzi – che tanto mi ha interessato nel tempo dell’insegnamento fiorentino, data la grande attività svolta alle dipendenze dei Medici, per la bizzarria grafica, che rivaleggia con i Fiamminghi, per la minuzia e per la tecnica varia e squisita – vediamo richiamate e indirizzate, e qui talune per la prima volta bene individuate, tutte le voci valevoli di quel secolo fecondo, legate alla Città dell’Adige. Risalgono con Niccolò Giolfino all’indimenticabile grafia di Liberale, in cui echeggia ancora la grande voce del Pisanello. La disamina si chiude con Francesco Montemezzano, che si muove abilmente tra Paolo e Tintoretto, come basterebbe a provare la pala, risultata sottoscritta e datata, del Santuario della Madonna a Lendinara che ho avuto la fortuna di trovare.

Un panorama dotto e inconsueto, a cui non potrà mancare il compiacimento degli studiosi e dei conoscitori e il plauso di tutte le persone di gusto e a cui ha voluto partecipare il fior fiore del collezionismo europeo e un’ampia rappresentanza di quello statunitense. Plauso che non dovrà dimenticare le grandi cure dedicate a questo lavoro da Alessandro Bettagno a Licisco Magagnato, da Angelo Aldrighetti a Silvano De Tuoni (che ha sopportato le maggiori fatiche), da Angela Aricò Caracciolo, che ha tradotto il testo dall’inglese, a Neri Pozza che si è prodigato nella rapida realizzazione del catalogo, permettendo di recuperare i tempi fortemente compromessi dalle difficoltà della passata primavera.

Opere d’arte dalle raccolte della Fondazione in occasione del ventennio

L’esposizione rientra nella serie di manifestazioni che la Fondazione Giorgio Cini ha preparato per ricordare il compimento del suo primo ventennio di attività, nel campo culturale come in quello sociale. Accanto alle iniziative di studio in questa occasione concluse e a quelle più propriamente destinate a costituire il bilancio di un periodo ventennale di fervida attività, si é voluto presentare al pubblico non solamente alcune delle opere d’arte e degli oggetti più significativi che fanno parte delle raccolte della Fondazione, ma anche una illustrazione estremamente sintetica dei risultati conseguiti dal Centro di Cultura e Civiltà, dal Centro Marinaro e dal Centro Arti e Mestieri: non tanto una «mostra», quanto una «documentazione». Una esposizione, quindi, anzitutto di opere scelte tra quelle che sono patrimonio della Fondazione (che non le custodisce come un tradizionale museo, considerandole soprattutto valido e insostituibile strumento di ricerca e di lavoro); ma accanto ad esse un copioso materiale di studio e di documentazione: carteggi, libri, microfilm, e anche diagrammi, statistiche. Altro aspetto che caratterizza l’esposizione – e che logicamente consegue all’impostazione datale – è la presentazione, l’uno accanto all’altro, di «pezzi» di varia e disparata natura: dai quadri e dai disegni ai libri antichi e ai manoscritti e agli autografi, dalle sculture ai mobili e agli arredi d’arte, dalle armature e armi antiche alle medaglie e agli arazzi, dagli epistolari e dalle pubblicazioni alle fotografie, ai grafici, ai tabelloni statistici, alle pellicole che illustrano la vita e le attività di San Giorgio.

G.B. Cavalcaselle. Disegni da antichi maestri

Con questa mostra di 102 disegni di Giambattista Cavalcaselle (ai quali se ne aggiungono due di Joseph Archer Crowe), prestati dalla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, l’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini e il Museo Civico di Verona intendono onorare la memoria del grande critico ottocentesco, il cui centocinquantesimo anniversario della nascita (1819) a Legnago è passato quasi inosservato fuori del Veneto. È merito di Giuseppe Fiocco, il compianto Direttore di questo Istituto, l’aver programmato tale mostra, che ora viene realizzata mercè la generosa collaborazione del Prof. Giorgio Emanuele Ferrari, Direttore della Biblioteca Marciana. La scelta di tali disegni spetta a Lino Moretti, che non solo li commenta nelle schede del catalogo, ma evoca nel saggio introduttivo le vicende umane del Cavalcaselle, nonché i caratteri della sua ricerca storica, basata appunto su di un personale metodo grafico. I suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Venezia non fecero del Cavalcaselle un artista, ma gli consentirono di formarsi uno strumento di indagine prezioso quale un disegno riproduttivo d’una precisione accademica, che fu alla base della sua ricerca storica sulla pittura dei primitivi e dei maestri rinascimentali italiani e fiamminghi. Ma il Cavalcaselle non usò questo mezzo grafico come avevano fatto gli incisori, che lo avevano preceduto, per diffondere opere d’arte nella trascrizione incisoria: il disegno, nel senso di schizzo mnemonico, fu per lui un mezzo di ricerca onde arrivare alla determinazione degli elementi formali costituenti il tessuto dell’opera d’arte. Uno strumento segnico d’individuazione di un codice espressivo che, corredato da annotazioni d’ogni genere (colore, materia, stato di conservazione, intuizioni, ecc.), servisse al Cavalcaselle quale base per la sua vocazione di storico, alla quale si dedicò fin da giovane. Verso la fine dell’Ottocento la storia dell’arte venne agevolata dall’uso della riproduzione fotograica: e non c’è dubbio che tale strumento tecnico, con tutti i suoi pericoli derivanti dalla riduzione in bianco e nero della struttura coloristica d’un dipinto, facilitò l’avvento di una pratica conoscitiva di cui ancora oggi siamo i fruitori.

Disegni veneti del Museo di Stoccolma

Allorché il Nationalmuseum di Stoccolma pensò di allestire una grande mostra in occasione dell’ottantesimo compleanno di Gustavo VI Adolfo, fu chiesto al monarca quale tema gli fosse piú gradito. La risposta fu quella di una retrospettiva dedicata all’arte veneziana. Gustavo VI, archeologo appassionato e collezionista di arte orientale, che aveva preso l’abitudine di venire ogni anno in Italia per fare la sua campagna di scavo, diede la preferenza ad un tema legato a quella città, che lo aveva affascinato nel suo primo viaggio in Italia agli inizi di questo secolo. Racconta Carl Nordenfalk nella prefazione al catalogo della bellissima mostra allestita al Nationalmuseum di Stoccolma alla fine del 1962: «Circa sessanta anni or sono un giovane svedese intraprese un viaggio nei paesi del Mediterraneo. Viaggiò in treno e una delle prime fermate fu Venezia. Il giovane viaggiatore aveva un apparecchio fotografico. Dalle fotografie prese e raccolte in album dopo il ritorno a casa, non si viene a sapere molto dei suoi compagni di viaggio. A differenza dei soliti turisti egli non usava il suo apparecchio fatografico per ritrarre amici e conoscenti. Pare che la sua maggiore gioia sia stata quella di girovagare ritraendo la Venezia artistica che dappertutto lo entusiasmava».

Illusione e pratica teatrale. Mostra di scenografie del Sei e Settecento

Questa mostra, che segue a distanza di cinque anni quella dedicata nel ’70 ai Bibiena e illustra per campioni e momenti significativi l’evolversi dell’illusionismo teatrale nella prassi scenica italiana del Sei e Settecento, rappresenta un corollario delle «tavole rotonde» sul dramma musicale in Italia che da qualche anno sono divenute una felice consuetudine autunnale del nostro Istituto e hanno costituito un piccolo, affiatato e attivo sodalizio di studiosi di svariate discipline intorno ai molteplici aspetti che confluiscono nell’unità del dramma per musica. Di questi lo studio dello spazio teatrale, al quale l’Istituto ha rivolto una costante attenzione per merito particolare di Maria Teresa Muraro, è tra i più delicati per i problemi ricostruttivi e filologici che solleva a ogni passo e probabilmente il piú complesso, coinvolgendo tutte le componenti dello spettacolo.

Disegni di Tiziano e della sua cerchia

In occasione del quarto centenario della morte di Tiziano (27 agosto 1576), la Fondazione Giorgio Cini, sciogliendo una promessa formulata qualche anno fa, presenta due mostre: l’una dedicata ai disegni del Maestro, l’altra alle stampe. Si tratta di due mostre complementari che pongono all’ordine del giorno il problema della grafica tizianesca nel duplice aspetto di quella disegnativa, dove si concreta la nascita del segno come primo veicolo comunicativo dell’artista, e di quella incisoria, nel quale la forma segnica si elabora in modo più organico per essere affidata ad una tecnica di riproduzione in legno o su metallo. I risultati di tali due mostre, affidate a specialisti che ne hanno steso i rispettivi cataloghi critici, recheranno certamente un contributo sostanziale alla conoscenza di Tiziano.

Tiziano e la silografia veneziana del Cinquecento

Oltre alla Mostra dei «Disegni di Tiziano e della sua cerchia», la Fondazione Giorgio Cini, in occasione del quarto centenario della morte dell’artista ( 27 agosto 1576), presenta quella intitolata «Tiziano e la xilografia veneziana del Cinquecento». Si tratta di due manifestazioni complementari, che pongono all’ordine del giorno il problema della grafica tizianesca nel duplice aspetto di quella disegnativa, che costituisce un momento aurorale dell’attività creativa dell’artista, e di quella incisoria, nella quale la forma segnica si elabora in modo più organico per essere tradotta in una tecnica di riproduzione su legno o su metallo.

Disegni di Goethe in Italia

La trentanovesima mostra di disegni allestita dalla Fondazione Giorgio Cini nella sua sede dell’isola di San Giorgio rientra nella lunga successione di rassegne grafiche che l’hanno preceduta in questi venticinque anni di attività. Essa ben si inquadra, infatti, nell’impegno scientifico assunto dall’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione, di riproporre un esame critico del disegno quale forma autonoma di espressione artistica, attraverso la rassegna delle opere conservate nelle raccolte pubbliche e private d’Europa e d’America. L’esposizione di quest’anno, tuttavia, presenta anche motivi particolari d’interesse. La mostra «Disegni di Goethe in Italia» propone per la prima volta al pubblico italiano una scelta organica di disegni, di schizzi e di appunti grafici del più grande (e potremmo aggiungere, anche più «interdisciplinare») genio europeo che la Germania abbia avuto nella sua storia. È una scelta che, specialmente per il nostro paese, ha un interesse specifico e attuale; per il tema della mostra e come introduzione all’ormai prossimo secondo centenario del celebre viaggio in Italia.

Leggere il futuro. Un viaggio nei libri tra sacro e profano

12 dicembre 2012 – 13 febbraio 2013
Da lunedì a venerdì: 9.00 – 16.30
Sabato e domenica: 10.00 – 16.00*
Saletta Espositiva della Nuova Manica Lunga, Fondazione Giorgio Cini onlus, Isola di San Giorgio Maggiore – Venezia

*Durante il sabato e la domenica l’accesso alla Fondazione è consentito solo tramite le visite guidate.


Con lo scopo di valorizzare e far conoscere il prezioso patrimonio conservato presso l’Isola di San Giorgio Maggiore, lo staff del Coordinamento Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini ha ideato e realizzato una piccola esposizione con alcuni degli esemplari più significativi delle preziose raccolte antiche, creando un percorso tematico dedicato al concetto di tempo.
La mostra è stata pensata e organizzata in bacheche tematicamente omogenee: nella prima bacheca, la misurazione scientifica del tempo; nella seconda, i pronostici; nella terza, le profezie e i libri di ventura; nella quarta, la medicina e le ricette per il buon vivere; nella quinta, l’arte del ben morire; nella sesta: il ritorno all’Assoluto.
Il tempo, inteso come la dimensione nella quale si verificano gli eventi, ha la necessità di essere misurato per poter concepire e determinare il passato, il presente e il futuro. Dopo alcuni esempi di studio e calcolo scientifico per il rilevamento temporale, la mostra prosegue documentando un aspetto rilevante della cultura del Rinascimento: la convinzione di poter guardare il futuro per poter affrontare profeticamente gli avvenimenti che in quegli anni risultavano essere particolarmente tumultuosi (guerre, epidemie, eventi nefasti attribuiti a castighi divini…).
Vengono a tal proposito esposti alcuni splendidi esempi dei più famosi libri di ventura, di profezia e di chiromanzia.
Il senso della morte era sicuramente un tema molto sentito fin dal Medioevo. Con l’introduzione e lo sviluppo della stampa a caratteri mobili, si diffondono anche studi, manuali, dissertazioni di carattere tecnico-scientifico, tra i quali non mancano quelli di medicina; la trattatistica, poi, viene affiancata da libri di ricette per il ben vivere alla luce del ben morire. Con gli ordini religiosi mendicanti si divulga il messaggio del memento mori e, per raggiungere anche le classi meno acculturate, si affiancano alle prediche dei monaci le immagini crude degli scheletri muniti di falce, accanto al letto del morente.
Il momento della morte coinvolge l’uomo materiale che lo teme e lo fugge; l’uomo spirituale, invece, attende quell’istante come occasione per il ritorno all’Assoluto.
Il famoso testo dell’Imitazione di Cristo è l’opera religiosa maggiormente diffusa dopo la Bibbia e, insieme al Fiore di Virtù, indica la via che un buon cristiano deve seguire per raggiungere la perfezione dell’anima finalizzata al personale e intimo ricongiungimento con l’Assoluto.
Proseguendo lungo la scala delle virtù si viene sfiorati dalla meraviglia della beatitudine e il Paradiso riconsegna la pace sospirata.

La mostra è curata da Ilenia Maschietto e Matteo Giro con il supporto dell’Ufficio Tecnico della Fondazione Giorgio Cini.

 


[accordion]

[accordion_entry title=”I. LA MISURAZIONE DEL TEMPO”]

Misurare il tempo può essere considerata una delle prime scienze esatte dell’antichità. Determinare la lunghezza della notte era di fondamentale importanza per capire quando sarebbe potuta riprendere l’attività produttiva alla luce del giorno; così come indispensabile era ed è la divisione periodica delle stagioni.
Il calendario è lo strumento adottato dall’uomo per suddividere il tempo in periodi ed è il risultato dell’osservazione del Sole e della Luna: il calendario solare descrive l’anno suddiviso in 365 (o 366) giorni e le stagioni iniziano sempre negli stessi giorni; nel calendario lunare, il mese lunare dura circa 29 giorni e mezzo e il mese inizia sempre con la Luna nuova.
Fu così che l’uomo rivolse gli occhi al cielo e iniziò lo studio metodico degli astri, dei pianeti e del nostro satellite.

 

 

 

Rufus Festus Avienus, Hic codex auienii continet epigramma. eiusdem arati phaenomena geographiae carmine heroico: & oras maritimas trimetro iambico …, (Venezia, Antonio da Strada, 1488).

Prima edizione a stampa dell’opera di Avienus, poeta latino del IV secolo, nato a Bolsena, appartenente all’aristocratica cerchia dei Simmachi e dei Nicomachi; deve la sua fama sopratutto alla parafrasi dei Phenomena di Arato, poema scientifico che descrive il sorgere e il tramontare delle stelle: il sistema planetario viene rappresentato nella concezione tolemaica della volta celeste, per cui al centro vi si trova la Terra mentre nel cerchio più esterno risiedono le stelle fisse. Le descrizioni delle orbite sono in versi tratti da Naturalis Historia di Gaio Plinio Secondo. Particolare è la descrizione delle orbite di Mercurio e di Venere che girano eccezionalmente per le concezioni astronomiche del tempo attorno al Sole. Il testo contiene anche Ora maritima, poemetto in trimetri giambici che delinea le coste dell’impero dalla Britannia a Marsiglia, utile fonte storica per la descrizione delle coste di Spagna e Gallia nell’antichità.

In particolare, l’immagine rappresenta una delle costellazioni che forma lo Zodiaco: il cancro.


[/accordion_entry]
[/accordion]

[accordion]

[accordion_entry title=”II. PRONOSTICI E PROFEZIE”]

Nel Medioevo era sentimento comune il timore della fine del mondo nel fatidico anno Mille. Cinquecento anni più tardi l’Europa, lacerata da guerre politiche e religiose e spaventata da oroscopi e presagi catastrofici, pensò di nuovo che il giudizio universale fosse vicino. Le angosce del tempo venivano alimentate con maggior vigore da numerosi pronostici che passavano tra le mani soprattutto dei lettori medio colti e delle classi più basse: a cavallo tra i due secoli la produzione profetico-divinatoria era certamente fra le più commerciabili.

La connessione tra astronomia e astrologia era strettissima anche nel Rinascimento. La pratica di osservare il cielo e di compilare effemeridi serviva da base alla pratica di redigere “temi di nascita” (oroscopi) e di predire avvenimenti futuri.

Profeta Daniele, Insonnij di Daniel. Questo sie il modo di vedere le significatione de gli insonij secondo li giorni della Luna. Composti per alphabeto, (Venezia ?, 1515-1525 ca.).

Deportato a Babilonia perché giudeo, il profeta Daniele grazie alla sua saggezza riuscì a conquistare la fiducia del re Nabucodonosor: il sovrano fece un sogno così inquietante che questi convocò al suo cospetto i maggiori interpreti, maghi, astrologi allo scopo di chiarire il sogno e rivelargli il significato. Il re, volendo avere la prova della loro arte e competenza, si rifiutò di raccontare il sogno e pretese che da soli arrivassero alla relativa interpretazione. Pregando intensamente il Signore, Daniele ebbe l’illuminazione e svelò a Nabucodonosor il sogno e il suo significato: il re riconobbe quindi l’esistenza del vero Dio ed elesse Daniele a capo di tutti i saggi di Babilonia. Il rarissimo testo d’uso popolare qui esposto, il cui autore è il più famoso interprete dei sogni della tradizione cristiana, si compone di quattro carte dove si raccolgono, in ordine alfabetico, i temi dei sogni con il relativo significato.
[/accordion_entry]
[/accordion]

[accordion]

[accordion_entry title=”III. LA SORTE”]

Oltre ai pronostici e alle profezie vi era anche un altro fortunato genere letterario che affrontava la previsione del futuro, ovvero i libri di sorte: strumenti di gioco interamente illustrati che, scelto un quesito, permettevano tirando dadi o carte di ottenere la risposta relativa al proprio avvenire.
Esistevano anche altri modi per raggiungere questo scopo. Piuttosto diffusi erano infatti i libri di chiromanzia, l’arte di interpretare i segni della mano per predire non solo il futuro dell’interessato, ma anche per conoscere ogni aspetto della persona, come il suo passato, il carattere, le sue attitudini e le qualità positive e negative.
Libri, questi, che non potevano certo passare inosservati ai rigidi censori e vennero tutti inseriti nell’Indice dei libri proibiti.

Sigismondo Fanti, Triompho di Fortuna, (Venezia, Iacopo Giunta e Agostino Zani, 1526).

Il Fanti fu astrologo e umanista ferrarese e nei suoi scritti si dichiarava professore delle arti matematiche. L’edizione qui in esame rappresenta un’ interessante versione delle Sorti di Lorenzo Spirito Gualtieri. All’inizio del testo si sceglie fra 72 quesiti il tema di cui si desidera conoscere il futuro; si percorrono poi 4 diverse stazioni: la rosa dei venti, le 12 case (che corrispondono alle 12 casate signorili d’Italia), le 72 ruote e le 36 sfere. La parte finale del testo è invece composta dai responsi dati dai profeti e dalle sibille.

[/accordion_entry]
[/accordion]

[accordion]

[accordion_entry title=”IV. LA MEDICINA E IL “BEN VIVERE”]

Tra XV e XVI secolo si continuava a sostenere l’importanza dell’astrologia e dell’alchimia per la medicina. Molti indovini esercitavano spesso anche pratiche mediche: la salute e la malattia erano aspetti fondamentali per la divinazione. La crescente attenzione per i fenomeni dell’esperienza umana considerati misteriosi perché inspiegabili, metteva in risalto quei risvolti della medicina che erano più difficilmente riconducibili a una scientia. Il legame tra medicina e astrologia, infatti, era talmente forte nel Rinascimento da far credere che i vari pianeti controllassero le fasi della gravidanza o le malattie relative ad alcune parti del corpo.Inoltre, accanto ai manuali di medicina indirizzati a specialisti, troviamo numerosi ricettari in volgare, destinati alle classi più basse: una serie di rimedi naturali per “l’arte del ben vivere”.

Ketham, Johannes de, Fasciculus medicinae, Venezia, Giovanni e Gregorio de Gregori, 1491

(La donna con in grembo il nascituro.)

La Fondazione Giorgio Cini conserva tre diverse edizioni, due in latino e una in volgare, relative al famoso testo che comprende una serie di trattatelli tardo medievali raccolti da Giovanni Ketham, probabilmente da identificare con Johannes de Kirchheim, medico tedesco insegnante a Vienna e che per qualche tempo dimorò a Venezia. Il Fasciculus era una sorta di manuale-summa che conteneva le conoscenze basilari della medicina pratica. I trattati riguardano l’uroscopia, le principali patologie medico-chirurgiche accompagnate dalle relative indicazioni terapeutiche, l’astrologia medica, la flebotomia, alcune nozioni ostetrico-ginecologiche, il famoso Consiglio sulla peste (scritto da Pietro da Tossignano), le proprietà dei farmaci di origine vegetale e infine l’anatomia (basata sulle teorie di Mondino de’ Liuzzi). L’editio princeps del 1491 in latino è corredata da sei tavole, di cui due colorite a mano, di così alta fattura da essere state attribuite a Mantegna, Gentile Bellini e ad altri importanti artisti del periodo.

[/accordion_entry]
[/accordion]

[accordion]

[accordion_entry title=”V. L’ARTE DEL BEN MORIRE”]

Trattati di medicina e ricettari erano volti alla ricerca del ben vivere e allontanare il più possibile il momento della morte. A partire dalla metà del Trecento il fatidico istante del trapasso acquistò un’importanza sempre maggiore secondo una nuova sensibilità: con il proliferare degli ordini mendicanti il tema del memento mori ossessionò con insistenza tutta l’Europa. Questo sentire si tradusse facilmente nel testo e nelle immagini dell’Ars moriendi, un’opera anonima corredata da 11 xilografie che ricordano al cristiano ciò che deve temere e ciò in cui deve riporre la propria fede.  Strettamente connessa alla fortuna dell’Ars moriendi è quella della Danza macabra. Grazie all’adattamento che ne fece Hans Holbein, ebbe largo successo nell’editoria: 49 xilografie animate da una vena sarcastica in cui lo scheletro, personaggio tra i personaggi, porta con sé, democraticamente, ogni essere vivente.

L’Ars moriendi è un’opera anonima di cui si conoscono due versioni di differente lunghezza. Quella breve è corredata da 11 xilografie raffiguranti le 5 tentazioni che il morente deve affrontare nel fatidico istante (il dubbio sulla fede, la disperazione per i peccati, l’attaccamento ai beni terreni, il rifiuto della sofferenza, l’orgoglio per le proprie virtù), le 5 ispirazioni angeliche che lo soccorrono e infine la buona morte. Lo scopo delle xilografie è quello di ricordare al cristiano ciò che deve temere e ciò in cui deve credere nel momento del trapasso.
[/accordion_entry]
[/accordion]

[accordion]

[accordion_entry title=”VI. IL RITORNO ALL’ASSOLUTO”]

Al fine di salvare la propria anima e garantirsi la vita eterna oltre la morte, vi erano a disposizione per il devoto manuali e trattati che indicavano la retta via da perseguire.
Il Fiore di virtù ad esempio era un testo moraleggiante costituito da 35 capitoli, in cui si alternano le descrizioni di vizi e virtù, seguite dalla simbolica associazione a un animale. Altra opera diffusissima nella letteratura cristiana fin dal Medioevo fu il De Imitatione Christi, attribuita al monaco agostiniano Tommaso de Kempis o al teologo e filosofo francese Jean Gerson. Lo scritto invita il lettore, su esempio di Cristo, ad abbandonare la superficialità delle cose materiali per concentrarsi sulla carità e sulla necessità della sofferenza come mezzo per entrare nel regno di Dio.

(L’ascesa di Dante e Beatrice al Paradiso)

Dante Alighieri, La comedia di Dante Alighieri, Venezia, Francesco Marcolini, 1544

Il volume rappresenta l’editio princeps del classico dantesco corredato dal commento di Alessandro Velutello, letterato nato a Lucca e attivo nella città marciana nella prima metà del XVI secolo. La sua esegesi è particolarmente degna di nota per la pesante critica al lavoro di Pietro Bembo: nella dedica al lettore, infatti, Vellutello non esita ad accusare il collega (senza mai nominarlo esplicitamente) di aver interpretato in modo erroneo i testi di Petrarca e Dante. L’opera è inoltre arricchita da numerose xilografie di elevata fattura, tanto da essere ritenute “le prime illustrazioni moderne della Divina Commedia”. L’autore è con molta probabilità lo stesso editore Francesco Marcolini, grande amico di Tiziano e del Sansovino. Le tavole, per la prima volta, tentano di raffigurare in modo chiaro l’intricata topografia e soprattutto i riferimenti cosmologici descritti nei tre canti. Alcuni legni vennero riutilizzati dal Marcolini anche per l’edizione degli Inferni del Doni.

[/accordion_entry]
[/accordion]

 

Per ulteriori informazioni:
Biblioteche della Fondazione Giorgio Cini
tel. +39 041 2710407
e-mail: biblioteca@cini.it

Nella stanza di Eleonora Duse

Il Centro studi per la ricerca documentale sul teatro e il melodramma europeo ha inaugurato la Stanza di Eleonora Duse,  uno spazio permanente dedicato alla memoria della grande attrice italiana.

VISITE SU PRENOTAZIONE dalle 15 alle 17 solo su prenotazione fino ad esaurimento posti.
La stanza archivio è visitabile gratuitamente i mercoledì pomeriggio:

4, 18 aprile  

Per informazioni e prenotazioni

Segreteria
tel.+39 041 2710236
fax +39 041 2710215 
e-mail teatromelodramma@cini.it

 

L’idea è nata dalla volontà di rendere l’Archivio Eleonora Duse della Fondazione Giorgio Cini, un “luogo” aperto al pubblico da scoprire e visitare. 
La preziosa collezione di materiali conservati presso il Centro studi per la ricerca documentale sul teatro e il melodramma europeo, infatti, costituisce una fonte inesauribile per studiare la vita e l’arte di questa affascinante attrice che a Venezia aveva cercato, e trovato, un clima accogliente e una casa dove vivere per diverso tempo. 

L’allestimento di questo nuovo spazio garantisce la possibilità di esporre una parte dei documenti conservati nel ricco Archivio quali autografi, tra cui lettere, copioni, documenti contabili e registri di compagnia, oltre a fotografie originali, oggetti personali, abiti e una parte del suo mobilio. Accanto al piccolo allestimento permanente che vuole restituire un angolo della casa di Eleonora Duse, la straordinaria ricchezza dei nostri documenti permette di mostrare e approfondire diversi temi caratterizzanti la sua arte o periodi distinti della sua vita, temi che andranno a formare le linee guida per le esposizioni temporanee.


Questa stanza,  nasce con l’intenzione di trasformare in un organismo vivo e visitabile il prezioso Archivio Duse, conservato presso il Centro studi per la ricerca documentale sul teatro e il melodramma europeo della Fondazione Giorgio Cini.