La mostra retrospettiva di Chu Teh-Chun (1920-2014) in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini, dal titolo In Nebula, si terrà dal 20 aprile al 30 giugno 2024, sull’Isola di San Giorgio Maggiore, in occasione della sessantesima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. Organizzata con il sostegno della Fondazione CHU Teh-Chun e curata dallo storico dell’arte Matthieu Poirier, è la più importante esposizione dedicata negli ultimi anni a questo pittore franco-cinese, che è stato uno dei protagonisti dell’arte astratta, insieme a Hans Hartung e Helen Frankenthaler.
Con prestiti eccezionali, tra cui uno proveniente dal Musée d’Art Moderne de Paris, la mostra guiderà i visitatori attraverso una serie di dipinti emblematici realizzati a partire dal 1955, anno in cui Chu si stabilì definitivamente a Parigi, vicino alle avanguardie occidentali. Una nuova monografia sull’artista, pubblicata da Matthieu Poirier (Editions Gallimard, Parigi), accompagnerà l’evento.
La Fondazione Giorgio Cini presenta le nuove opere dell’artista americano Alex Katz, a cura di Luca Massimo Barbero con il supporto della galleria Thaddaeus Ropac in occasione della sessantesima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.
La mostra segue la recente retrospettiva dell’artista al Guggenheim di New York e comprende tre grandi gruppi di opere realizzate tra il 2021 e il 2022 che rappresentano tre aspetti chiave della sua pratica. Un gruppo
di dipinti basati sugli abiti della stilista americana di metà secolo Claire McCardell è accompagnato da rappresentazioni in primo piano su larga scala di oceani dalle tinte inchiostro e di terreni erbosi nei toni del verde e del giallo.
In una recente intervista, Katz ha descritto le creazioni di Claire Mc-Cardell come “non affettate”: una qualità che si armonizza con il suo stile pittorico e sobrio. Molte delle opere esposte alla Fondazione Giorgio Cini
presentano composizioni bipartite o addirittura tripartite, con frammenti di abiti e modelli diversi che richiamano le strategie visive del cubismo e, in particolare, il Ritratto di Dora Maar di Picasso del 1937. Katz ha scritto della sua ammirazione per il dipinto nella sua autobiografia Invented Symbols del 2012. Il suo stesso assemblaggio fonde prospettive e frammenti diversi in un’immagine impossibile eppure accattivante: in un’opera, due modelli in abiti diversi, leggermente sfalsati, sono uniti al centro della tela per formare un’unica sorprendente silhouette, mentre in un’altra una figura femminile sembra sporgersi da un abito tagliato a metà.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo che raccoglie una conversazione tra Alex Katz e Luca Massimo Barbero e un saggio sui suoi dipinti di moda, a cura dello storico dell’arte e curatore Olivier Gabet.
La Galleria di Palazzo Cini, straordinaria casa-museo che custodisce i capolavori della collezione di Vittorio Cini, riapre al pubblico con una mostra dedicata all’artista austriaca Martha Jungwirth (Vienna 1940). Unica donna tra i membri fondatori del gruppo di artisti “Wirklichkeiten” (“Realtà”), le sue opere furono esposte nella mostra alla Secessione di Vienna del 1968, curata da Otto Breicha. Da allora Martha Jungwirth ha continuato a sviluppare un linguaggio visivo innovativo, caratterizzato dall’esplorazione del colore e da linee incisive. Nel 2018 ha ricevuto il prestigioso Premio Oskar Kokoschka assegnato dallo Stato austriaco, accompagnato da un’ampia mostra personale all’Albertina di Vienna; nel 2020 una retrospettiva al Museum Liaunig di Neuhaus ha celebrato l’ottantesimo compleanno dell’artista mentre due anni dopo la Kunsthalle di Düsseldorf ha presentato un’ampia mostra personale a lei dedicata. Le sue opere sono ammirate da diverse generazioni di artisti e sono oggi esposte nelle collezioni di importanti istituzioni come il museo Albertina di Vienna e il Centre Pompidou di Parigi.
Il lavoro di Martha Jungwirth attinge a varie fonti (il corpo umano, i viaggi, la storia dell’arte, la mitologia, i contesti storici, sociali e politici) catturando impulsi interni e fugaci che vengono registrati nella pittura.
Le sue composizioni sono in bilico tra astrazione e figurazione, tra l’inconscio e l’intenzionale, slegate e libere, impegnate solo nella loro verità. Come per tutti i suoi soggetti, le forme rimangono al di là del facilmente identificabile, spostandosi tra i regni del reale e dell’immaginario, dell’incarnato e del trascendente e le composizioni si rivelano all’artista durante il processo pittorico. L’ispirazione dell’artista all’arte antica è esemplificata da lavori come In Ohne Titel, aus der Serie “Nicht mehr und nicht weniger” (2021), in cui Jungwirth cita Francisco Goya (1746-1828) intitolando la sua serie con il titolo dell’opera dell’artista spagnolo Ni mas ni menos (1797-1798). All’interno del percorso della mostra, saranno presenti anche dipinti inediti dell’artista viennese ispirati alle stesse opere della Galleria a rimarcare il rapporto tra la sua pittura e la storia dell’arte.
A cura di Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini e realizzata con il supporto della galleria Thaddaeus Ropac, l’esposizione sarà aperta al pubblico dal 17 aprile al 29 settembre, tutti i giorni della settimana (escluso il martedì), mentre la Galleria di Palazzo Cini, con le sue collezioni permanenti, rimarrà aperta fino al 13 ottobre 2024 (www.palazzocini.it).
Si rinnova l’appuntamento primaverile a Le Stanze del Vetro che inaugura la mostra 1912-1930 Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia. L’evento espositivo, a cura di Marino Barovier, è concepito per rievocare la presenza del vetro muranese alla Biennale fin dagli inizi del Novecento. È infatti in tale periodo che alcuni interessanti manufatti vengono esposti per la prima volta alla manifestazione veneziana, anticipando la propria partecipazione continuativa alle edizioni future, in cui tale materiale occuperà un posto d’eccellenza.
Se nel 1903 alcuni soffiati della Compagnia Venezia Murano vengono inseriti come complemento d’arredo della Sala del Giornale, è dal 1912 e poi 1914, che il vetro figura in modo sempre più incisivo e costante, esposto in sale diverse, all’interno della rassegna.
Nel 1932 troverà invece una sede stabile nel Padiglione Venezia ai Giardini, progettato da Brenno Del Giudice su iniziativa dell’Istituto Veneto per il Lavoro, appositamente per ospitare le arti decorative.
Di fatto è questa iniziativa che suggella e riconosce il valore di quelle arti all’epoca ancora denominate “minori”, che proprio grazie alla Biennale di Venezia, vengono mostrate al grande pubblico al pari di scultura e pittura, riducendo così l’ideale distanza tra le diverse discipline.
La funzione della Biennale diviene poi via via quella di “vetrina privilegiata” ma anche proficua occasione di scambio e confronto per le vetrerie muranesi e soprattutto per i loro protagonisti, stimolati da un contesto artistico di respiro internazionale. La crisi degli anni Settanta porta infine all’estromissione del vetro dalla Biennale, con lo spostamento del padiglione all’Ateneo di San Basso, in Piazza dei Leoncini.
Alla luce di tali antefatti storici, la mostra 1912-1930 Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia si propone di illuminare il panorama artistico che germina dalla Biennale, prendendo in esame l’arco cronologico sottolineato dal titolo, ovvero dalla X alla XVII edizione.
L’esposizione, accompagnata dal relativo catalogo, intende raggruppare le opere che furono esposte in queste edizioni, accostate a documenti d’epoca, dando così conto dell’ambito culturale e produttivo da cui provenivano
anche alcuni manufatti coevi.
Rispetto al primo decennio, si tratta perlopiù di progetti pensati da artisti quali Hans Stoltenberg Lerche, Vittorio Zecchin e Teodoro Wolf Ferrari e come Umberto Bellotto, che si avvalsero della collaborazione delle vetrerie per la realizzazione dei loro lavori. Per gli anni Venti, invece, figurano in mostra le fornaci che, autonomamente o con la collaborazione di artisti-designer, presentarono la loro produzione migliore.
Un nuovo percorso espositivo alla Biblioteca Manica Lunga della Fondazione Giorgio Cini omaggia uno dei più celebri designer italiani. Un focus sul viso come matrice del progetto anticipa la grande retrospettiva che si apre alla Triennale di Milano il 13 aprile. A cura di Aldo Colonetti e Archivio Alessandro Mendini.
Tredici oggetti e sei disegni firmati da Alessandro Mendini sono il nucleo di un prezioso e inaspettato progetto espositivo ospitato nella Biblioteca Nuova Manica Lunga della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, omaggio a uno dei più celebri designer italiani.
Realizzata in collaborazione con l’Archivio Alessandro Mendini e con Codiceicona, questa espoiszione è dedicata alla ricerca di Mendini attorno alla potenza del corpo come matrice del progetto. E’ intitolata semplicemente VISI, perché proprio il volto è il focus di questa raccolta di lavori realizzati tra il 1987 e il 2018, a sottolineare come sia stato a lungo una attenta fonte di ricerca progettuale.
VISI di Alessandro Mendini sarà aperta al pubblico su prenotazione presso www.visitcini.com.
La mostra è stata prorogata fino al 28 luglio 2024.
A partire dal mese di marzo, e fino alla fine del mese di dicembre 2024, viene proposto nella Stanza Duse, archivio aperto e visitabile dal 2011, il terzo e ultimo appuntamento di una trilogia di esposizioni dedicate al rapporto della Duse con la città di Venezia (2022), con la scena italiana del suo tempo (2023) e, infine, con gli artisti e il teatro di tutto il mondo (2024).
L’obiettivo del nuovo allestimento è indagare la ricezione internazionale del teatro di Eleonora Duse per ricostruire il modo in cui la sua recitazione colpì il pubblico straniero e contribuì alla rivoluzione artistica del primo Novecento teatrale.
Attraverso la stampa del tempo, le locandine e gli scritti che le sono stati dedicati, le fotografie eseguite da autori internazionali e altri materiali, il visitatore sarà guidato alla scoperta di una delle pagine più felici del teatro italiano di tutti i tempi. Voci vicine e lontane, sono in grado di raccontare un’attrice rivoluzionaria, ispirata e capace di influenzare chi ha avuto la fortuna di vederla in scena. Tra questi Sarah Bernhardt, Charlie Chaplin, Isadora Duncan, Lucien e Sacha Guitry e Lee Strasberg.
Per la prima volta dalla sua apertura la Stanza di Eleonora Duse, nell’anno del centenario, entra nelle proposte delle visite guidate alla Fondazione Giorgio Cini.
La Stanza di Eleonora Duse, aperta e visitabile dal 2011, è uno spazio permanente dedicato alla memoria della grande attrice italiana; un luogo che nasce con lo scopo di rendere accessibile al pubblico, attraverso mostre temporanee, il prezioso patrimonio custodito nell’archivio Duse. La collezione di materiali conservati presso l’Istituto per il Teatro e il Melodramma è di straordinaria ricchezza: fotografie originali, carteggi, copioni annotati, documenti contabili e registri di compagnia, abiti e memorabilia vanno a costituire, di volta in volta, percorsi tematici in grado di svelare aspetti della vita e dell’arte di questa affascinante attrice.
Il 28 marzo apre a Le Stanze della Fotografia la retrospettiva Helmut Newton. Legacy, curata da Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation di Berlino e Denis Curti, direttore artistico del progetto de Le
Stanze della Fotografia. Attraverso duecentocinquanta fotografie, riviste, documenti e video, la mostra ripercorrerà l’intera carriera di uno dei fotografi più amati e discussi di tutti i tempi. Accanto alle immagini più iconiche, un corpus di fotografie inedite, presentate per la prima volta in Italia, sveleranno molti aspetti meno noti dell’opera di Newton (Berlino, 1920 – Los Angeles, 2004), con un focus specifico sugli scatti di moda più anticonvenzionali.
Polaroid e contact sheet forniranno inoltre informazioni sul processo creativo di alcuni dei motivi iconici presenti, mentre pubblicazioni speciali, materiali d’archivio e dichiarazioni del fotografo contribuiranno a
far comprendere al visitatore il contesto nel quale è nata l’ispirazione di questo straordinario artista.
La mostra di Patrick Mimran dal titolo Out of focus, presso le Stanze della Fotografia, presenta gli ultimi dieci anni di ricerca dell’artista, attraverso una serie di opere mai esposte in Italia.
In questa nuova serie di fotografie di grande formato, l’artista ha lavorato principalmente sulla mancanza di nitidezza, non solo dei contorni ma dell’intera immagine. Ben lontano dall’essere indeciso sulla definizione
del soggetto, Patrick Mimran, sembra voler far emergere la realtà nel suo divenire: se a un primo sguardo l’immagine sembra astratta, man mano che si osserva diventa sempre più realistica.
Nel corso degli anni, infatti, attraverso le sue ricerche e le differenti serie di lavori, Mimran si è convinto che il miglior modo per catturare un soggetto, sia esso un vivente o un oggetto inanimato, non fosse quello di rappresentarlo il più fedelmente possibile ma al contrario di allontanarsi il più possibile, fino quasi all’astrazione.
In preparazione della grande ricorrenza del 2024, che celebra i cento anni dalla scomparsa di Eleonora Duse (1858-1924), l’Istituto per il Teatro e il Melodramma propone una mostra sulla celebre attrice italiana a partire dai documenti conservati nel prezioso archivio personale dell’artista. Questo nuovo progetto espositivo segue quello dedicato al delicato e profondo rapporto tra l’attrice e la città di Venezia e intende ampliare lo sguardo al contesto nazionale, nel quale Eleonora Duse crebbe, si affermò e che contribuì a modificare significativamente.
Questa mostra costituisce il secondo appuntamento di un ciclo di esposizioni promosse in Stanza Duse volte a indagare un particolare aspetto della vicenda biografica e artistica di Eleonora Duse: il rapporto dell’attrice con il territorio veneziano e veneto (2022), il successo in Italia, il contesto teatrale nazionale (2023) e la fama internazionale (2024).
Accanto alle stampe fotografiche che ritraggono l’attrice in momenti privati e scatti posati in abiti di scena, il visitatore potrà vedere una selezione di oggetti e documenti appartenuti all’attrice. L’insieme di questi materiali permettono di ricostruire il legame di Eleonora Duse con la scena teatrale italiana dei decenni a cavallo tra XIX e XX secolo. Eleonora nasce in una famiglia di attori italiani di modesta fortuna, raggiunge presto il successo esibendosi nei più importanti teatri della penisola, è la musa di diversi drammaturghi e sodale collaboratrice dei più importanti attori italiani del tempo. Tra gli scrittori che hanno scritto per lei si ricordano Giuseppe Giacosa, Gabriele D’Annunzio, Marco Praga, Tommaso Gallarati Scotti e Giovanni Verga che, in occasione della prima di Cavalleria Rusticana, scrisse di lei: “che artista è quella Duse e come prese a cuore le mie parti!”.
Sempre in Italia, ma nei lunghi anni passati lontano dalle scene, Eleonora Duse si fa promotrice di una bella iniziativa sociale, “la libreria delle attrici” e gira il film Cenere, tratto da una novella del futuro premio Nobel per la letteratura Grazia Deledda.
Il programma annuale di iniziative congiunte con la Regione del Veneto riguardanti il Castello di Monselice è stato inaugurato con la conferenza tenutasi nell’antico maniero il 27 giugno 2023 dal titolo “L’armeria di Monselice, una delle collezioni di armi più ricche d’Italia”, nel corso della quale è stato presentato il nuovo portale per la consultazione online della Fototeca Regionale, di cui le fotografie dell’armeria del Castello – una raccolta d’armi di ben 904 pezzi, seconda nel Veneto solo a quella dell’Armeria di Palazzo Ducale a Venezia – costituiscono una delle sezioni più interessanti e articolate.
A questa prima iniziativa segue un secondo importante appuntamento: dal 12 ottobre 2023 viene ospitato nelle sale del Castello di Monselice uno tra i dipinti di maggior pregio di proprietà della Fondazione Giorgio Cini proveniente dalle raccolte di Vittorio Cini e un tempo custodito proprio in questa sua residenza monselicense: La raccolta della manna di Paolo Fiammingo. Si tratta di un’opera della maturità di Pauwels Franck o Francken, più noto in Italia come Paolo Fiammingo, maestro anversese allievo del Tintoretto, e suo collaboratore, che si specializzò a Venezia con prolifica bottega e una produzione di genere orientata sul paesaggio, dove si mescola la tradizione fiamminga con quella veneziana.
L’esposizione presso il Castello di Monselice offre l’occasione per ammirare e far conoscere al pubblico il dipinto già nella collezione di Vittorio Cini restituito pienamente alla sua leggibilità grazie al restauro eseguito nel 2011.