I maftirîm e le opere degli ebrei sefarditi nella musica classica ottomana

Da Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati
ISBN 9788861631434

Ensemble Bîrûn. Direttore artistico: Kudsi Erguner

ANNO: 2016

Nota Edizioni, Udine

Intersezioni Musicali – CD IM04

Le quattordici tracce che compongono questo CD – il terzo a essere dedicato alla musica classica ottomana all’interno della collana Intersezioni Musicali, edita da Nota e promossa dall’IISMC – costituiscono una selezione tratta da repertori di compositori appartenenti alle comunità degli ebrei sefarditi, attive in ambito ottomano fin dal XIV secolo. Il CD è inoltre corredato da un libretto di 54 pagine contenente alcune note introduttive – in italiano e in inglese – a cura di Kudsi Erguner.

Come i precedenti, questo lavoro costituisce l’esito finale del progetto Bîrûn, un programma di alta formazione in musica classica ottomana che l’IISMC promuove dal 2012 presso la Fondazione Giorgio Cini.

I repertori composti dagli ebrei sefarditi – tema scelto per l’edizione 2015 di Bîrûn, durante la quale è stato registrato il CD – costituiscono un apporto importante al complesso mondo della musica classica ottomana. Una presenza molto antica e prolungata a Istanbul e in altre zone dell’Anatolia, unita a un veloce adattamento al sistema estetico e stilistico modale dei maqâm (che probabilmente derivava dalla passata consuetudine con la musica arabo-andalusa), fece sì che fin dal XV secolo gli ebrei iniziassero ad adottare tale sistema per comporre brani ad uso liturgico, dando vita a nuovi generi adatti alle proprie esigenze rituali. Particolarmente interessanti, a questo proposito risultano i maftirîm (“fine” o “chiusura”), brani consistenti nella messa in musica dei piyyutîm, componimenti poetici destinati alla cantillazione durante la conclusione dei riti in sinagoga (traccia 5). È questo un genere la cui genesi si deve anche ai numerosi contatti che le comunità sefardite ebbero con altre componenti del mondo ottomano e in particolare con le confraternite di dervisci mevlevî presenti in diverse zone dell’Impero, e che, nonostante sia rimasto in uso fino alla fine del XIX secolo, è stato poco documentato. Questa carenza di documentazione, unita ad altri fattori, ha contribuito a rendere quello dei maftirîm un genere – in passato e ancor di più oggi – eseguito in rarissime occasioni.

L’ambito di attività dei compositori ebrei non era limitato ai contesti interni della propria comunità: alcuni di essi, ad esempio, prestarono servizio a corte, arrivando in alcuni casi a godere di grande stima da parte dei sultani. Fra questi è sufficiente ricordare Izak Fresco Romano, detto tanbûrî Izak dal nome dello strumento che suonava e insegnava, il quale è considerato il più rappresentativo tra i compositori ebrei e il caposcuola del tanbûr moderno (traccia 14).

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