I Dialoghi di San Giorgio. What’s the body of the Body Politic? Sovereignty, Identity, Ecology

Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia
plus set, 1215 2017

Evento inaugurale

I Dialoghi di San Giorgio

What’s the body of the Body Politic? Sovereignty, Identity, Ecology
12 settembre 2017

 

Il Dialogo di quest’anno intitolato What’s the body of the Body Politic? Sovereignty, Identity, Ecology, sarà preceduto da un evento speciale: una performance musicale a cura del mdi ensemble che eseguirà  Tierkreis (1974/1983) di Karlheinz Stockhausen, per clarinetto, flauto, tromba e pianoforte e delle letture di alcuni testi di Esopo, Platone, San Paolo, Giovanni di Salisbury (John of Salisbury), Christine de Pizan, Thomas Browne e altri.


 

I Dialoghi di San Giorgio
What’s the body of the Body Politic? Sovereignty, Identity, Ecology
13 -15 settembre 2017

 

Introductory Note By Bruno Latour & Simon Schaffer

Vi ricordate la favola di Esopo La pancia e le membra o la lettera di S. Paolo ai Corinzi sul Corpo e la Chiesa, o La Favola delle api di Mandeville, o l’associazione alquanto pericolosa tra le pesti e gli stranieri, o i più recenti tentativi di pensare alla terra come a un organismo gigante? Nessuna di queste storie smette di trasporre le metafore da una sfera – quella del corpo – a un’altra – quella della politica. Il risultato è la nascita di questo importantissimo concetto della  filosofia occidentale, il corpus politicum, il Corpo Politico. Un aspetto interessante di questo celeberrimo tema è che ogni sfera prende a prestito  la certezza associata all’autorità di un’altra sfera, così che la scienza politica finisce con l’attingere dalla biologia ciò che i biologi attingono dalla teoria politica. Questo incessante commercio di concetti e metafore purtroppo non ha mai garantito la qualità di ciò che è stato ininterrottamente trasposto da una sfera all’altra. Il risultato è la mancanza di una definizione condivisa dei ‘corpi collettivi’. Da qui l’idea di tentare di riaprire la questione attraverso questo Dialogo, mettendo insieme le diverse discipline ed esaminando ciò che ciascuna ha realmente da offrire alle altre che sia genuinamente appropriato al fenomeno studiato.

Proprio nel momento in cui l’idea di sovranità è divenuta obsoleta per l’intensificarsi della  globalizzazione, delle migrazioni e di cambiamenti planetari, la politica tende a ritrarsi entro i confini che gli Stati nazionali hanno inventato nei secoli precedenti. Nonostante le vaste trasformazioni richieste dai cambiamenti climatici, proposte politiche che pongono l’accento sull’identità, il nazionalismo e i confini sembrano essere le più attraenti per gli elettori. Dovunque, non sembrano esistere alternative alla scelta tra affidarsi senza riserve alla globalizzazione o, altrimenti, applicare nel modo più rigoroso la vecchia concezione di sovranità. Durante questo Dialogo vogliamo aprire la strada a un altro orientamento politico che non si basa né sull’idea di globalizzazione né sui concetti di sovranità, identità e individualità. La nostra ipotesi è che la maggior parte delle idee sul Corpo Politico derivi da concezioni del corpo biologico, e vice versa. Vi è sempre stato un flusso bidirezionale tra biologia, diritto, religione e teoria sociale, al punto che è molto difficile – quando si parla di ecosistemi, identità, genetica, organismo o globalizzazione – decidere se si sta parlando di entità umane o non umane. I biologi non sembrano preoccuparsi del fatto che utilizzano la teoria sociale per parlare  di organi e tessuti, i sociologi non esitano a utilizzare concetti legali derivati dalla storia della Chiesa per definire l’individuo, mentre gli economisti paiono felici di mobilitare quella che essi considerano una nozione “naturalistica” della concorrenza al fine di rendere l’ottimo calcolabile, i teorici dell’organizzazione prendono a prestito con disinvoltura dalla organizzazione della cellula  la metafora del DNA. E così via. Le metafore viaggiano liberamente, trasportando le stesse irrisolte perplessità da un ambito all’altro.

Questa confusione   è aumentata ulteriormente nell’era dell’Antropocene, quando la politica deve espandersi a quelli che una volta erano oggetti della natura. La soluzione non sta certamente nell’accrescere la confusione trattando umani e non-umani come se fossero la stessa cosa, considerandoli tutti ‘egualmente sociali’ o ‘egualmente naturali’. Quando il ‘gene egoista’ rassomiglia sospettosamente ai manager di Wall Street, quando il pianeta Terra  è trattato come una dea, gli organismi sono trattati come aziende, i formicai  come macro-organismi, le cellule come macchine cibernetiche, e gli Stati come se avessero confini naturali, diventa estremamente difficile specificare le differenze tra forme collettive. E’ su questo punto che vogliamo intervenire: una nuova concezione del Corpo Politico richiede un’analisi accurata di ciò che intendiamo per corpo, organismo, individuo, identità e collettivo.

Immensi progressi sono stati fatti nello studio del comportamento collettivo a molti differenti livelli: mercati, cellule, animali sociali, stati nazione, organi aziendali, interazioni umane ed ecosistemi. Resta tuttavia una difficoltà che studiosi e scienziati tendono, allo stesso tempo, a risolvere praticamente e a respingere intellettualmente: la nozione di un agente individuale che entra in una sistema di relazioni all’interno di un collettivo è una nozione che non sembra funzionare. In primo luogo, perché in ogni studio accurato di questi fenomeni l’individuo non sembra avere confini nitidamente definiti, in secondo luogo perché il collettivo del quale l’individuo è supposto far parte non sembra in realtà essere qualcosa di più dei suoi componenti. La difficoltà è costantemente aggirata utilizzando concetti vaghi come organismo, proprietà emergenti, sistemi, totalità.

Il dilemma è ben noto. Ognuno riconosce che le due nozioni di individuo e collettivo sono  dense di significato, e cerca il modo di togliersi d’impaccio. Questo crea una strana situazione per l’etica, il diritto e la politica, così come per la scienza: gli aspetti più importanti del nostro orientamento nel mondo  (chi sono gli individui? Qual è la forma dell’insieme più vasto nel quale  siamo supposti vivere? Quali sono i confini che definiscono la nostra esistenza collettiva?) si basano su una serie di concetti del tutto incapaci di catturare la natura dell’individualità e del collettivo. Curiosamente, anche se studiosi, scienziati, educatori e moralisti riconoscono tutti la fragilità di questo modello, non c’è stato alcuno sforzo sistematico volto a trovare un modello alternativo per ridefinire le relazioni tra la parte e il tutto e per rielaborare la vecchia nozione di organismo, che è pertanto usata come cianografia delle nostre idee di sovranità. La teoria sociale e la biologia sembrano andare ognuna per la sua strada anche se continuano a scambiarsi concetti e metafore senza esaminare accuratamente che cosa viene scambiato.

Noi crediamo che esista l’opportunità di progredire nella ricerca attraverso un analisi critica di questi scambi, usando a nostro beneficio il fatto stesso che lo scambio coinvolge contemporaneamente così numerosi e diversi campi di studio. Il problema di definire l’organismo e l’identità ha esattamente la stessa forma se studiamo lo sviluppo delle cellule, il comportamento di una colonia di formiche o di un gruppo di babbuini, lo sviluppo di coalizioni geopolitiche, organi aziendali, ecosistemi, mercati o interazioni tra umani nelle società. Naturalmente, il materiale empirico è diverso, ma non lo sono i concetti che danno forma a questo materiale. È questa proprietà del problema che può offrire il modo migliore di risolverlo. La nostra idea è molto semplice: confrontare e le soluzioni che ognuno di noi  ha elaborato nell’ambito della propria disciplina, al fine di definire in modo nuovo i collettivi e gli individui. Dato che lo stesso dilemma ostacola lo sviluppo delle nostre diverse discipline, si tratta di rendere visibile il problema comune  mettendo attorno allo stesso tavolo specialisti di diverse discipline (biologia, filosofia, ecologia, teoria sociale, antropologia, storia della scienza, scienza politica) che abbiano – ciascuno a suo modo – sollevato coraggiosamente il problema, mettendo in discussione il paradigma della propria disciplina. Il problema non si risolve in due o tre giorni, ma almeno diventeremo tutti più consapevoli del flusso bidirezionale tra biologia,  politica e teoria sociale.

Anche se parleremo di entità del tutto diverse – batteri, cellule, formiche, aziende, clan o bande – ci sforzeremo di mettere unicamente a fuoco l’origine, la natura, la qualità, l’impatto, l’intrusività silenziosa delle metafore e dei concetti che prendiamo a prestito da altre discipline quando inquadriamo il problema di ciò che è un collettivo nella nostra disciplina. E’ rischioso, ma ognuno di noi può contribuire a una straordinaria intrapresa: mettere in discussione la potenza dei paradigmi consolidati. Dato che l’ecologia politica è chiaramente e urgentemente paralizzata dalla incapacità di elaborare una chiara concezione di ciò che potrebbe comporre il Corpo Politico, sarebbe incoraggiante sentire che non siamo isolati ma – e questo è ciò che più conta – potremmo arrivare a riformulare il problema in modo migliore.

San Giorgio, un’isola appartata, è il luogo ideale per un dialogo perché, a differenza di altre utopie, invece di assumere dogmaticamente che la risposta è stata già trovata, offre la possibilità a tutti noi di contribuire a porre migliori domande.

I partecipanti a questa edizione dei Dialoghi di San Giorgio sono Deborah Gordon, Shirley Strum, Scott Gilbert, Isabelle Stengers, Didier Debaise, Mike Lynch, Kyle McGee, Timothy Mitchell, Tim Lenton, David Western, Bruno Latour e Simon Schaffer.


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