CIAC – XLV CORSO INTERNAZIONALE DI ALTA CULTURA

plus set, 2027 2003

(Vedi tutte le edizioni dal 1959 al 2003)

Tutto si raccoglie nell’infanzia, sviluppo e memoria, formazione e destino. Poiché le epoche sembrano dire: “il futuro è nell’origine”. Così il virgiliano Puer che farà rinascere l’età dell’oro, così il ricordo dell’infanzia che, rimosso o riaffiorante, riporta alla nostra identità: da Freud a Proust.

Ma infanzia è pure il luogo incerto ove colui che “non sa parlare” (infans) è già oggetto dei disegni altrui: su di esso si esercita l’educazione, la scuola, e la fabbrica: proletari erano – e sono ancora in molte parti del mondo – coloro che potevano contare non sul capitale, ma sulla prole. La prole, nella sua stessa origine, è frutto di natura: prolifica, essa stessa, la madre di tutto il creato. Ma artificiale sta divenendo, con i suoi parti, sempre più eugenetici. Sempre più abbandonati: “bimbi di strada”, in America latina, “bimbi dello schermo”, in un Occidente di frenetiche solitudini. Nell’immaginario mitico, l’infanzia non è più compenso giocoso e libero all’irrigidirsi delle abitudini e delle manie del senex: a Qui, Quo, Qua si sostituisce, oggi, il Niño, il sotterraneo impulso di ogni mutamento di clima ed ira della Natura, di cui siamo complici e spettatori.

I tempi dell’iniziazione, dell’ingresso in società erano lunghi: infanzia, puerizia, adolescenza, giovinezza: l’età adulta era riconosciuta, sancita, dopo il superamento dì varie prove, culturali e civili, dalla “maturità” scolastica al servizio militare. Oggi il tempo dell’infanzia si è fatto “corto”: interdetto ai minori resta pochissimo, mentre molto viene offerto al loro consumo. Il perno dell’identità familiare e scolastica si assottiglia e nuovi modi di aggregazione precaria subentrano.

La crisi del principio di autorità rende incerto il luogo dell’obbligo e la fonte del merito. Nell’infanzia si specchiano le ansie di una società che si dà poco futuro e poca ‘attesa di senso’: come ha scritto Roland Barthes, l’infanzia è un luogo ove il ritmo di vita più conta che l’azione o l’oggetto: << il fascino di una quotidianità senza avvenimenti >>.

Sapremo mantenere – nel secolo che inizia – queste clairières, isole di luce e di senso nel fitto addensarsi degli eventi ?